Mario Cucinella: una casa a misura di desiderio
Dicembre 2009 – Recentemente, in occasione del Mipim Award, l’Oscar del settore immobiliare assegnato dal mercato internazionale della proprietà, con la sua opera “Cset” (Centre for Sustainable Energy Technologies) un edificio che accoglie una scuola per la diffusione delle tecnologie ecosostenibili, ha lasciato a bocca aperta noi e i giudici del concorso, che gli hanno assegnato il premio per l’edizione 2009.
Sono anni, tuttavia, che Mario Cucinella, uno dei più grandi architetti del mondo, dopo i mesi passati nello studio di Renzo Piano ha intrapreso una carriera che lo ha visto consacrarsi tra i principali esponenti del design internazionale.
Egli, infatti, è riuscito nel tempo ad unire il gusto estetico e la costante capacità di rinnovamento con i temi legati alla progettazione ambientale e alla sostenibilità, sviluppando alfine un’architettura innovativa e al tempo stesso attenta alla realtà in cui va ad inserirsi.
L’occasione per incontrarlo è stata l’edizione 2009 del Capri Trendwatching Festival, durante la quale Cucinella ha partecipato proprio ad una tavola rotonda dal titolo “SuperGreen” volta a sottolineare il suo impegno nella diffusione della cultura low-impact e del “pensiero verde”.
Grazie alla sua opera ma non solo, negli ultimi tempi sempre più frequente è il nesso tra architettura e ambiente. Come lo spiega?
“Beh, l’architetto di per sé è un mestiere ecologico: si prendono delle risorse e si trasformano in un oggetto nuovo. Tuttavia, in generale, un architetto si mette a parlare di consumi e sostenibilità poiché proprio la presenza o meno di risorse rinnovabili e il consumo di energia condiziona il nostro operato. E da questo nasce l’attuale legame architettura-ambiente.”
L’attenzione per il contesto ambientale in cui le costruzioni vanno ad inserirsi è, però, qualcosa che arriva colpevolmente in ritardo…
“Purtroppo sì, ma d’altronde oggi non si potrebbe fare altrimenti. In una giornatatipo, dagli anni ‘60 ad oggi, il consumo di elettricità è cresciuto di quasi 50 volte, dato che non è accettabile poiché, con un tasso di crescita del genere, il futuro, anche prossimo, diverrebbe insostenibile. Qui, quindi, entra in gioco la figura dell’architetto, il quale diventa soggetto fondamentale per capire come distribuire al meglio i consumi tra costruzioni, industria e trasporti.”
Quale può essere, quindi, il “credo” del’architettura eco-sostenibile?
“La prima e unica legge penso sia: non produrre energia per poi consumarla male. Il mio lavoro, infatti, non è solo artistico – di sicuro c’è anche quello – ma è soprattutto un lavoro scientifico, da ‘costruttore virtuale’. Non c’è qualcuno che determina i canoni della sostenibilità, anche perché, ad esempio, non è il solo risparmio energetico né altri elementi presi singolarmente a determinare l’eco-sostenibilità di un’azienda. Questa, invece, è data dalla volontà degli imprenditori e dalla capacità degli architetti di seguirne le direttive. Siamo in una fase di cambiamento, la tecnologia ha aperto nuove frontiere, ora tocca a noi utilizzarle per l’ecosostenibilità.”
Sono in molti gli architetti che hanno aderito a questa “sfida”?
“A dir la verità no. In Europa, purtroppo, o forse nell’intero Occidente, abbiamo questa mania di riempire ciò che è vuoto, ed è per questo motivo che le nostre città diventano sempre più delle megalopoli con una elevatissima densità abitativa, la quale senza dubbio nuoce all’ambiente e alla qualità della vita. Si progetta ancora secondo modelli predefiniti, che non soddisfano l’utente finale né rispettano la natura. In molti ancora non sono riusciti a comprendere che la chiave non sta nella ricerca di spazi nuovi ma nella rivalutazione di quelli già esistenti, una riqualificazione in grado di renderli più vivibili con dei costi, peraltro, molto più competitivi.”
Ecosostenibilità, impatto zero, risparmio energetico: il vocabolario degli ambientalisti di nuova generazione si infittisce sempre di più alla ricerca delle strategie da implementare. Ma come siamo arrivati a questo punto di non ritorno?
“Purtroppo con un atteggiamento che, per anni, ha pensato solo al presente. Ad esempio, se oggi tutto il mondo volesse vivere come vivono gli americani ci vorrebbero esattamente 5 pianeti per ‘sostenerlo’. Noi italiani, invece, siamo messi meglio, perché ci vorrebbe solo un pianeta e un terzo. Il dramma risiede nel fatto che, al tempo stesso, se tutti vivessimo come gli africani consumeremmo solo un terzo delle risorse mondiali. E’ uno scompenso assurdo che rende bene l’idea di quanto un livellamento risulti imprescindibile, anche e soprattutto da un punto di vista socio-politico.”
Crede davvero che l’architettura possa cambiare questo stato di cose?
“Di certo non può farlo da sola, ma può interagire in maniera funzionale con governi e industrie. In futuro, il compito dell’architetto deve essere quello non solo di migliorare i propri edifici, ma di cambiarli, inaugurando una nuova generazione di costruzioni. Al centro del processo creativo non ci sarà più l’individuo ma un’insieme di elementi: gli interessi del nucleo familiare, la sostenibilità, le aspettative condivise. Gli architetti devono diventare ‘portatori sani’ di quella capacità di trovare il giusto equilibrio tra natura e società.”
Lei è spesso impegnato all’estero e ha fatto un po’ il punto sulla situazione mondiale dell’universo del design. In Italia, invece, a suo avviso come siamo messi?
“Male. Abbiamo totalmente perduto il concetto di professionalità. Non si premiano più le competenze, le capacità, le intuizioni. In Francia, ad esempio, mi chiamano sempre ‘Monsieur l’Architect’, in Italia, invece, mi sono provocatoria mente autodefinito ‘archittetto socialmente inutile’ poiché faccio una fatica esagerata a trovare lavoro. Penso che gli architetti, come gli artisti, debbano tracciare le linee guida per la società che verrà, ma questo purtroppo ancora non accade, soprattutto da noi.”