Sguardi sul futuro
Dicembre 2009/Gennaio 2010 – Come saranno gli stili di vita del futuro? Quanto di quello che sta accadendo oggi nel mondo dell’arte, della moda, del design, della progettazione degli spazi urbani, della tecnologia muterà le nostre abitudini di vita e di consumo? Quali saranno le prossime avanguardie? A queste domande il Capri Trendwatching Festival ha cercato di dare risposta mettendo a confronto alcuni tra i più acuti osservatori di tendenze nel mondo (i cosiddetti urban watchers). Risultato? Una serie di pronostici, intuizioni, previsioni circostanziate, quasi profetiche e, in qualche caso, ottimistiche.
Anticipatrice di tendenze, guru della moda internazionale, dal 1980 è autrice di libri e audiovisivi innovativi e si occupa di analisi e di ricerca degli stili di vita più diversi per i più importanti brand internazionali, LI EDELKOORT, trend forecaster, ci ha posto di fronte a un lucido resoconto anticipando la moda del 2011. «Il giallo sarà il nuovo rosa», ha detto, più serafica che vaticinante. Spiegando: «Adesso che abbiamo iniziato a ricostruire la società e a rendere solide le fondamenta del nostro mercato, che abbiamo sfruttato le nostre fonti di energia e che ci siamo concentrati su quello che ci viene meglio, a un tratto ci accorgiamo che vogliamo liberarci dalla paura e dall’aggressione». La sua ricetta per il nostro futuro stile di vita è il ritorno alla vita rurale, campestre, semplice (abbiamo approfondito l’argomento con una lunga intervista esclusiva sul numero scorso ndr). I tessuti cercheranno di ricordare la natura, il mare, gli animali, il colore prenderà le sue nuance da elementi primari, dalle piume di uccelli equatoriali e dalle squame variopinte dei pesci tropicali. Dal lino al velluto, l’imperativo sarà fluidità, leggerezza, per sentirci comodi e liberi, sempre più simili alla natura incontaminata. L’acqua è perciò l’elemento fondamentale, la metafora del futuro che verrà: «È l’elemento più prezioso che abbiamo. L’acqua nutre, forgia e definisce la nostra esistenza, fungendo da principio economico e di scambio, fonte di benessere e di energia e principio di bellezza, tempio della contemplazione e luogo di incontro (ad esempio le spa, ndr). Questo secolo sarà all’insegna dell’acqua o non sarà». Esperto di subculture giovanili, moda e pop (nel 1975 pubblicava il suo pionieristico Fashion & Antifashion, seguito da altri scritti che includono Bodystyles, Popstyles, The Customized Body e Style Surfing) l’antropologo TED POLHEMUS ha mostrato come la specifica attitudine umana di trasformare la propria apparenza, lungi dall’essere un vezzo frivolo e casuale, offra una chiave di lettura storica e culturale sul cambiamento sociale e sull’identità delle persone. Analizzando i modelli uniformi degli anni ‘50 (MARLON BRANDO), passando per la minigonna e arrivando fino alle spalle larghe anni ‘80 della donna manager, conferma che, dopo gli imperativi del “total look” imposti da riviste e passerelle, sono arrivati nuovi modelli culturali: «Come nel film Blade Runner (dove il personaggio della replicante PRIS interpretato da DARYL HANNAH anticipava l’imminente esplosione del movimento Punk), nel presente non ci sono più regole, ciascuno crea la propria immagine, dunque il proprio stile, affermando la propria personalità. L’offerta sarà sempre più vasta e noi non vogliamo più sentire imposizioni». Non c’è e non ci sarà più, per POLHEMUS, “la” moda, ma lo “stile” anzi, tanti stili, espressione di singole individualità: una vera e propria democrazia della moda. Come dimostrano le collezioni incredibili e futuribili, a metà fra immaginario gay bear e postatomic, dello stilista WALTER VAN BEIRENDONCK.
Docente di moda, considerato il più visionario tra gli “Antwerp Six”, i sei designer che a partire dagli anni Novanta hanno fatto di Anversa una delle capitali della moda mondiale, VAN BEIRENDONCK si è imposto con uno stile al contempo moderno e inattuale, che si avvale di nuovi media e nuove reti creative, mixando fotografia e arte visuale, grafica e web design, musica e styling avveniristico. Il suo stile altamente scenografico e i suoi messaggi estremi, aperti a più livelli di lettura, comprendono temi politici e sociali legandosi a elementi in apparente contrasto come la natura e l’universo cyber. Utilizzando modelli sui generis per i suoi fashion show sta rivoluzionando il mondo della moda spostando l’attenzione da Milano e Parigi verso la sorprendente Anversa. Le sue sfilate sono vere e proprie performance, confermando il trend messo in luce da MARIA LUISA FRISA. Critico e storico della moda, docente all’IUAV di Venezia, FRISA intercetta che nel futuro il legame tra moda e arte contemporanea sarà sempre più forte ed evidente: «Abbiamo già dei casi notevoli: VANESSA BEECROFT ha portato la moda nel mondo dell’arte usandola in maniera perfetta. VIKTOR&ROLF citano GILBERT & GEORGE in cerca di una riconoscibilità che traduce le loro collezioni in atti performativi e gli consente una visibilità tale da poter applicare la propria genialità ad altre forme di design. MATTHEW BARNEY, uno dei più grandi talenti dell’oggi, non a caso è stato un modello e non a caso ha lavorato sull’uso del corpo attingendo proprio alla sua esperienza personale nel mondo della moda». Ma è nella realtà del pianeta che, saltando da un continente all’altro, è possibile rintracciare una serie di novità, di sorprese, di interventi “unici” destinati probabilmente ad allargare il tiro: “4th floor”, parrucchiere milanese che riceve in casa un cliente per volta; il dilagare degli house concert, musica dal vivo per pochi da seguire in appartamenti privati o comunque in luoghi non convenzionali della musica; i party organizzati last minute nei Bancomat di Berlino; il bluetooth utilizzato per fare amicizia in metrò; i Guerrilla-Drive in, gruppi di cinefili che organizzano proiezioni estemporanee sui muri delle periferie più degradate; le lezioni di Pilates da strada offerte dalle fermate dei bus a Londra; il city-fit, ovvero l’idea di tenersi in forma andando su e giù per le scale dei grattacieli di New York; le case 100 k (100 mq per 100mila euro) dell’architetto MARIO CUCINELLA, a basso impatto e a basso costo. Il ritorno al passato e la salvaguardia della natura (il cosiddetto pensiero Supergreen) determinano il boom di corsi di taglio e cucito negli Stati Uniti, il trionfo della bici ovunque sia pianeggiante con google map per ciclisti, mentre si moltiplicano i gesti di eco-guerriglia con “bombe” di semi piantati ovunque e aiuole e spazi abbandonati occupati con giardini a cura di privati cittadini. Ancora una volta New York è il baluardo della contemporaneità, il riferimento per la genesi delle nuove fenomenologie, la casa ideale del futuro, il luogo dove è possibile trasformare la vecchia ferrovia sopraelevata (High Line) in un giardino pensile che subito diventa una nuova passeggiata per nativi e turisti. Se ci aspetta un mondo free, non libero ma gratuito, come vorrebbe CHRIS ANDERSON, guru della rivista “Wired”, o se l’evoluzione in atto nel mondo del Web che da 2.0 diventa Web al quadrato (Web Squared) e le nuove frontiere della Augmented Reality incideranno realmente nella nostra nuova vita “verde”, come tenta di spiegare il visionario scrittore di fantascienza BRUCE STERLING, ancora non è dato sapere.
Chi offre una prospettiva diversa, meno ottimistica è FRANCESCO JODICE. Artista, fotografo e videomaker tra i più passionali, indaga soprattutto il mondo reale: la sua ricerca investiga i cambiamenti nel comportamento sociale di individui qualsiasi o di intere comunità in diversi ambiti urbani e geografici. Al suo attivo ha lavori come “Citytellers” (serie di docu-film che raccontano i fenomeni di autorganizzazione nelle maggiori metropoli mondiali), What We Want (atlante di comportamenti sociali e urbani attraverso 50 metropoli) o The Secret Traces (ricerca basata sul pedinamento fotografico di persone sconosciute in diverse città del mondo, che osserva e compara lo stile di vita di cittadini anonimi attraverso la loro quotidianità). Mostrando un reportage su Pixacao, la crew che tagga i grattacieli “bene” di San Paolo in Brasile con messaggi pacifici, o i paesaggi desolati del Kazakistan con i relitti di enormi navi sdraiati sul fondo del lago Aral completamente prosciugato (le città, il paesaggio e le comunità intorno al lago di Aral sono state lo scenario del più drammatico e devastante laboratorio scientifico-militare della guerra fredda, diventate una sorta di “archeologia dell’umanità”) o immagini pazzesche sulle corse dei cammelli nel deserto a Dubai (diventate sempre più popolari e con premi sempre più ricchi, oggetto di attenzione internazionale a causa dei bambini-fantini rapiti, seviziati e torturati per bloccarne la crescita), JODICE ci distrae per un attimo dalla magia del patinato e ci riporta al disastro dei terzi, quarti, quinti mondi. Più vicini dell’immaginabile. Prenderne coscienza potrebbe essere un futuro trend?
Ciro Cacciola
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